Nord dell’Albania.
Una giovane donna diventa una burnesha, una vergine giurata, prendendo così il posto del capofamiglia, secondo le leggi del Kanun.
Sud Italia. Puglia.
Una ragazza decide di agire ascoltando sé stessa in aperta opposizione con il capo famiglia e la famiglia intera.
Due decisioni irreversibili che segnano uno spartiacque tra un prima e un dopo. Due storie che abbiamo colto come fiori dal patrimonio tradizionale di queste due terre e che si rispondono come in una piccola antologia, raccolta di fiori, per parlare di due forze che ancora oggi cercano armonia nel loro frequente confliggere.
Il maschile e il femminile sono indagati a partire dal grande mistero che li accomuna e insieme li distingue e questo è il grande tema che percorre lo spettacolo. Queste donne forti come la roccia, capaci di adattarsi o abbattere gli ostacoli come l’acqua, di risplendere e poi cambiare stato come la neve, ci invitano nel loro universo di storie apparentemente remote e in realtà vive come archetipi della nostra esistenza contemporanea.
Come in tutta la Trilogia del Sud Fantastico , di cui questo lavoro è conclusione, rimane centrale l’indagine sul potere della società sull’individuo, dello sguardo degli altri e dell’affermazione di sé, della coesistenza tra poesia e violenza nelle nostra realtà quotidiana, della dimensione di cronaca che acquista il sapore della leggenda e viceversa della leggenda che si scopre fatto reale.
Portando alle sue estreme conseguenze il lavoro già intrapreso negli altri due monologhi cercando uno stile personale di narrazione in bilico tra la dimensione dell’epica e quella del dramma in questo spettacolo approfondiamo l’esplorazione dell’alterità come specchio per la lettura di noi stessi.
L’interprete sconfina continuamente ed è uno sconfinamento di genere, uno sconfinamento geografico, uno sconfinamento che ci fa vendere meglio per paradosso i confini e le gabbie in cui usiamo rinchiudere gli esseri umani.
Nel panorama dei lavori sul femminile, questo lavoro, che vive attraverso il corpo di un uomo in scena, Gabriele Genovese, porta uno sguardo con una angolazione inusuale che è insieme un omaggio e un’analisi crudele della condizione della donna e della società.
Al di là della curiosità folklorica sul mondo delle burnesh riflettere su maschile e femminile come due forme sociali dell’esistenza ci porta a interrogarci oggi su cosa sia la prevaricazione e su quanto abbia a che fare con qualsiasi individuo nato libero e pieno di potenzialità che spesso non gli vengono riconosciute se non raggiunge la forma attesa da altri.
AUTORE
Gabriele Genovese
REGIA E SCENOGRAFIA
Elisabetta Carosio
ATTORI
Gabriele Genovese