A quale velocità viaggia l’amore? A quale velocità viaggia una macchina di contrabbandieri?
Molto veloce… E forse l’amore è una merce di contrabbando, è qualcosa da nascondere, qualcosa di vietato, specialmente se gli oggetti cui si rivolge amore non sono oggetti canonici, ma oggetti carichi di quella diversità e di quella straordinarietà che è propria del sogno.
“Mimì tussi tussi” vive nella Brindisi degli anni ’80, centro di grande smistamento delle “bionde”, le sigarette di contrabbando che dal Montenegro raggiungevano l’Italia, prima che una famosa operazione di polizia, l’operazione Primavera, ponesse fine a un commercio su cui si basava l’economia di interi quartieri, di intere famiglie.
Mimì non è un contrabbandiere qualunque, lui guida l’Alfetta meglio di tutti gli altri, veloce e sicuro. Tutto il tempo che non passa a guidare Mimì lo passa tra casa di sua madre e la spiaggia.
Passa così tanto tempo in spiaggia che gli è venuta una tosse che non passa più e così il suo soprannome è stato cambiato: da “Mimì fuci fuci”(fuggi fuggi) è diventato “Mimì tussi tussi”. Alcuni dicono che è “nu poco scemo” perchè “va credendo alle sirene”, ma Mimì non è scemo: lui ha visto e sa cose che chi non ha visto non può capire. Lui è stato amato e attende il ritorno della sua sirena.
Per anni attende, ma un giorno decide di fare qualcosa che cambierà il corso di molte vite. Amori giudicati impossibili, impropri, mostruosi, ridicoli e magici popolano questo mondo di persone che non hanno niente da perdere e l’amore domina tutto come una forza misteriosa.
Secondo spettacolo di un’ideale trilogia di un Sud fantastico, dopo Brevi giorni e lunghe notti – Storie di straccioni, di porci e di re, Sospiri – Un amore di contrabbando si inscrive in un percorso che “Compagnia Lumen. Progetti, arti, teatro” porta avanti parallelamente alla prosa contemporanea e al teatro per l’infanzia. Si tratta infatti di uno spettacolo di narrazione che si genera, come il precedente, a partire da una raccolta di materiali che Gabriele Genovese opera rispetto alla propria terra di origine: il Salento. Attingendo a storie di cronaca reale, storie famigliari e leggende, l’attore crea un microcosmo in cui la barriera tra la realtà e il sogno si fa labile.
I personaggi prendono vita dalle parole e dentro le parole riscompaiono agilmente lasciando la scena l’uno all’altro, portando la loro lingua dal sapore antico, il loro colore e la loro essenza con pochi tratti efficaci e capaci di parlare alla contemporaneità. Il piccolo mondo che si ricostruisce sulla scena e nella percezione degli spettatori, quella città portatrice di storie, è infatti sempre un paradigma che ha possibilità di declinarsi all’oggi e ne riflette le dinamiche, anche le più violente. In questa storia l’amore in tutte le sue forme è forza che travolge e lascia in terra.
Questa città-paese, simboleggiata sulla scena da pochi elementi che richiamano il mondo del contrabbando e il porto, è il contenitore aspro di sogni inammissibili, il bacino di provenienza di merci illegali, il luogo dentro di noi in cui non vogliamo guardare, quello in cui la deformità e la diversità hanno un valore, in cui tutto va più veloce di quanto possiamo controllare. L’amore, forza propulsiva dell’universo, non salva forse dalla morte, ma ciò che sopravvive negli occhi degli spettatori è il loro stesso desiderio di amare liberi dai condizionamenti sociali, a una velocità commensurata a quella del cuore e non a quella dei rituali sociali, di viaggiare veloci, sempre fiduciosi di evitare incidenti, certi che ci sia spazio per i propri sogni. Non c’è altro modo, il resto non è vita.
UNA PRODUZIONE DI
Compagnia Lumen. Progetti, arti, teatro.
AUTORE
Gabriele Genovese
REGIA E SCENOGRAFIA
Elisabetta Carosio
ATTORI
Gabriele Genovese